Mondo Tram
IL TRAM DEL SABATO di Filobustiere

Ogni sabato appuntamento con un'immagine di tram e la sua storia

21 aprile 2007 - Storia di un trenino
 

C'era una volta un trenino, uno di quelli come ce n'erano tanti una volta in Italia. Come quelli che scavalcavano le Dolomiti, come quelli che solcavano le dolci colline laziali, come quelli che portavano i pellegrini a Norcia, come quelli che vincevano le asperità della Sardegna. Insomma un membro di quella bella famiglia di ferrovie secondarie o minori in gran parte annientata dal Re automobile, con l'accusa infamante di "ramo secco". 
Il nostro trenino partiva dalla piazza Carlo III di Napoli, all'ombra del grandioso edificio detto Albergo dei Poveri. Il suo progettista, l'architetto F. Fuga, aveva infatti voluto dimostrare con quella imponenza, di non essere meno valente del collega Vanvitelli al quale era stato invece affidato il prestigioso progetto del Palazzo Reale di Caserta. Il FV della nostra ferrovia era proprio nella piazza con il fascio di binari ed i suoi treni che si mescolavano con il traffico stradale (vedi foto 1 e 2 - ieri ed oggi). Certo una situazione urbanistica da paradosso che avrebbe comportato delle scelte diverse, come vedremo più avanti.  
Era la Napoli/Piedimonte d'Alife dal nome del paese (oggi Piedimonte Matese) posto ai piedi del Massiccio del Matese che delimitava la fine dell'itinerario dopo un percorso di circa km 80. Era stata inaugurata il 30 Marzo 1913 per un primo segmento e completata il 5 Ottobre 1914. Il suo scartamento era di 950 mm. Lasciata la piazza Carlo III e fendendo il flusso delle automobili (in verità pochissime), il trenino si arrampicava lungo le pendici di Capodichino per poi attraversare dopo un breve tunnel ed alcuni ponti, campi di frumento, ortaggi e canapa punteggiati dai minuscoli paesi dell'interland partenopeo. Arrivava quindi ad Aversa, cittadina di origine normanna di dimensioni più apprezzabili, dove si sarebbe potuto effettuare un interscambio (neologismo assolutamente ignorato all'epoca) con l'adiacente linea delle Tranvie Provinciali (le foto 3 e 4 forniscono un'idea precisa dello stato dei luoghi). Quindi puntando su S. Maria C. Vetere-S. Andrea dei Lagni (dove vi era un discreto deposito-vedi foto 5) penetrava con decisione nella valle tra pascoli animati da mandrie di mucche e bufale, che l'avrebbe condotta a Piedimonte.
L'itinerario era diviso in due segmenti: l'Alifana "bassa" e quella "alta". La definizione era tutt'altro che convenzionale in quanto la prima parte che finiva a  Capua Biforcazione era esercita con trazione elettrica, mentre la seconda parte che completava il percorso era a trazione a vapore. La divisione in termini chilometrici era quasi precisa in due parti. I tempi di percorrenza erano rispettivamente di un'ora e trenta per il segmento elettrificato ed un'ora e quarantacinque per quello a vapore. La flotta del materiale rotabile era costituita nel momento di massima espansione da 9 elettromotrici immatricolate 1-9 di costruzione Breda-AEG (vedi foto 6) di cui 8 sopravvissero fino alla fine. Il loro funzionamento era a corrente alternata monofase 11kv/25hz; una discreta dotazione di rimorchi e carri merci (vedi foto 7), due locomotori da manovra matricola 51/52 di costruzione AEG-Thomson (vedi foto 8) completavano la dotazione. La storia invece delle macchine a vapore risulta abbastanza vivace essendosi impiegate in totale sei macchine. Di queste la più antica la Catania, di provenienza industriale siciliana, finì in Africa nel 1939, ove fu impiegata per movimentare i carri del porto di Assab. Le successive V1-V2-V3,  furono tre assi di costruzione belga "La Meuse". La V2 fu ceduta alla Circumetnea mentre le V1 e V3 finirono i loro giorni con lo stesso padrone e demolite nel 1960. Per quanto riguarda infine le V11 e V12, si trattava di due locomotive di circa 300 cavalli di potenza. Di costruzione Breda, risalivano al 1913. Anch'esse finirono la loro carriera negli anni '60.
La guerra infierì con durezza sull'Alifana. Specialmente sul segmento "alto" che attraversava per suo destino, una zona che fu teatro di violenti scontri tra Alleati e truppe di occupazione. Con la fine della guerra, le sorti dei due lati si "biforcarono", per usare un termine congeniale a questa ferrovia, e la storia divenne parallela. La parte alta, la più danneggiata, venne ricostruita dopo 18 anni ed inaugurata nel 1963, con caratteristiche assolutamente inedite. Il tracciato venne rettificato dove fu possibile, le venne conferito lo scartamento ordinario, la trazione divenne termica e utilizzò rete FS (oggi RFI) per raggiungere il capoluogo Napoli dopo S. Maria C. V. La parte bassa invece venne risistemata ed utilizzando lo stesso materiale rotabile, visse momenti di gloria con un significativo incremento dei passeggeri dovuto ad un prepotente fenomeno di controesodo dalla città verso i centri periferici. Furono aperte nuove fermate spesso utilizzando le case cantoniere. Purtroppo da questo momento in poi il nostro trenino incominciò a subire una serie di attentati virtuali che in appena venti anni ne determinarono la chiusura totale.
Nel 1954, il Comune di Napoli ritenne non più sopportabile la coesistenza tra ferrovia e crescente traffico veicolare ed impose un arretramento del terminal di circa un chilometro. Ciò un fatto positivo lo produsse: l'istituzione di un servizio di navetta effettuato con bus curiosissimi tra snodati e veicoli con rimorchio. Una vera delizia per i miei occhi.
Successivamente un ulteriore arretramento fu provocato dagli incombenti lavori per la tangenziale di Napoli il cui viadotto principale avrebbe dovuto piantare le gambe proprio su un ponte in tufo posto sul suo tracciato (vedi foto 9). Un presunto dissesto ad un successivo ponte che in verità sta ancora lì in apparente buona salute, procurò un ulteriore spostamento del capolinea questa volta a Secondigliano. Malgrado queste riduzionii, il traffico passeggeri cresceva grazie al fenomento del pendolarismo (vedi foto 10 - abbinamento di convogli). Ma linee e mezzi non sarebbero stati  più in grado di assicurare un servizio accettabile se non con una sistematica ricostruzione. Così in attesa di ciò il 20 Febbraio 1976 il servizio venne "sospeso" e mai più ripreso.
Presi da uno scrupolo di coscienza, i dirigenti aziendali decisero tuttavia di preservare alcuni veicoli per finalità museali nel deposito di S. Andrea. Negli anni '80 una mano ignota e criminale vi appiccò il fuoco. Fine della storia del trenino.
Con la fantasia che di certo non manca alla gente di queste parti, su quella ferrovia ormai dismessa successe di tutto. Dalla pacifica conversione dei FV in case private o locali pubblici, al furto dei fili e di altro materiale fino ad arrivare alla costruzione di manufatti abusivi sul sedime con la consapevolezza che il treno non vi sarebbe passato mai più.
La storia del nostro trenino un'appendice però ce l'ha. Come documentato nell'opportuna sezione del forum, c'è una nuova Alifana bassa che sta arrivando, rappresentata  dall'antenna dell'anello metropolitano della linea 2. Si sta procedendo intensamente anche se tra mille difficoltà a farne dunque una moderna ferrovia suburbana. Sia pure a piccoli passi, essa diventerà la linea Metrocampania Nord-Est servendo una zona dove i campi con i cereali e la canapa sono stati occupati da nuovi rioni densamente abitati. Un primo segmento Piscinola-Mugnano di circa 3 km, già è stato inaugurato, preclusivo del balzo fino ad Aversa, quasi tutto in sotterranea.
In questa piccola conversazione vi ho risparmiato le intense vicende societarie della ferrovia nei suoi quasi cento anni di storia. Oggi, com'è immaginabile, essa fa parte di una Società a controllo regionale.

Grazie dell'attenzione e buona domenica a tutti i trammofili d'Italia.


FOTO 1

 

FOTO 2

 

FOTO 3

 

FOTO 4

 

FOTO 5

 

FOTO 6

 

FOTO 7

 

FOTO 8

 

FOTO 9

 

FOTO 10

 

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