LA STORIA DEI TRAM FIORENTINI

 

CARATTERISTICHE DEL SERVIZIO, FERMATE, CARTELLATURE DI LINEA

Contrariamente a quanto è accaduto una decina d’anni più tardi ai filobus, fino all’ultimo giorno di servizio i tram sono stati impiegati per l’intera settimana, festività incluse, e lungo l’intero arco giornaliero di servizio. Sulla linea 17, la linea dall’orario più lungo,  le prime vetture entravano in servizio intorno alle 6 del mattino e terminavano il servizio a notte inoltrata: l’ultima vettura rientrava in deposito alle 1,15.

Le frequenze dei passaggi sulle linee più affollate, la 6 e  la 17, erano notevoli: in pratica una vettura ogni  3/4 minuti nelle ore mattinali di punta. Nonostante ciò, era tutt’altro che raro veder ripartire i tram dalle fermate centrali strapieni in modo inverosimile, con i passeggeri appesi alle grosse maniglie di ottone delle vetture più vecchie, in precario equilibrio sul predellino. Le vetture dotate di porte automatiche spesso non riuscivano a chiuderle,  mentre all’interno si viaggiava stipati in modo angoscioso e sopportabile solo per la brevità dei percorsi.

Le fermate erano di regola indicate da una targa rettangolare di metallo, di minuscole dimensioni, appesa ai cavi trasversali della rete aerea, recante la scritta FERMATA OBBLIGATORIA (bianca in campo rosso), FERMATA SUSSIDIARIA (nera in campo bianco traversata da una diagonale rossa) o FERMATA FACOLTATIVA. Il sistema di segnalamento delle fermate, a dire il vero, era tutt’altro che comodo. Se non si era pratici della zona, bisognava volgere gli occhi al cielo per cercare la più vicina fermata, o, se si avevano gambe buone, cercare di prendere al volo il tram quando rallentava agli incroci. Una volta a bordo, il bigliettaio si limitava a far presente che tale pratica era vietata dai regolamenti di servizio, senza troppo insistere. Al contrario, non c’era nessuna tolleranza verso i ragazzini che cercavano di viaggiare appesi sul retro delle vetture, alla maniera di quanto succedeva, ad esempio,  a Napoli: il personale di bordo era in questo caso inflessibile, salvo che nel caso particolarissimo delle corse per lo Stadio Comunale. Le vetture bidirezionali viaggiavano di regola con le quattro porte aperte, dovendosi spostare frequentemente da un lato all’altro della strada a causa dei numerosi tratti a binario unico; facile immaginare quale fosse in inverno la gioia dei conducenti, provvisti, infatti, di pesanti cappotti neri.

Sulle linee extraurbane capitava, come ho già rammentato, che venisse talvolta sistemato un cancellato metallico su di un lato, mediante un semplice sistema di chiusura a scatto. Era anche possibile chiudere le aperture su un solo lato della vettura mediante porte di legno dotate di finestrino, parimenti fissate alla vettura da una chiusura a scatto,  facilmente rimovibili, ma di regola questo accadeva solo sulle vetture della linea 19 fino a quando questa effettuò l’intero percorso circolare.

Come si è detto, erano numerosi su tutte le linee i tratti a binario unico, cui si accedeva tramite normali scambi; la soluzione dei binari compenetrati era stata preferita solo per il Cavalcavia delle Cure, molto più stretto di adesso, per Via de’ Castellani e per Via della Colonna, all’altezza dell’Ospedale degli Innocenti.

Negli anni ’50 le motrici non ricostruite portavano la cartellatura di linea adottata durante il periodo bellico a causa dell’oscuramento, semplice e funzionale, e visibile anche a grande distanza, analoga a quella ancor oggi  in uso sui Peter-Witt milanesi,  cartellatura che aveva sostituito le caratteristiche  tabelle in legno, anch’esse di grande visibilità, montate in precedenza sull’imperiale delle vetture.

Ovviamente le motrici ricostruite adottavano cartelli analoghi a quelli di tram e filobus, verniciati in nero (o rosso) su sfondo bianco, recanti l’indicazione dei capolinea: un sistema semplice e razionale, tornato solo di recente in voga.

Le indicazioni sulle vetture più vecchie, una veletta nera fustellata o un cartello di metallo verniciato, erano invece lapidarie: MONTICELLI, CASCINE, P. PUCCINI, S. GERVASIO. La linea 19, negli ultimi mesi di esercizio,  portava una strana veletta AMENDOLA, non corrispondente ad alcun capolinea. Molti tram, numero di linea a parte, non recavano indicazioni di sorta.

Se laconica era l’informazione a bordo, del tutto assente era a terra, fatta eccezione per pochissime fermate centrali: dopo la ”Operazione Strade” le uniche paline provviste di indicazione dei percorsi rimaste in uso erano situate in Piazza Stazione. Gli orari non erano indicati, fatta eccezione per la prima e l’ultima corsa. Erano verniciate di verde scuro e sormontate dalla scritta bianca in campo rosso FERMATA OBBLIGATORIA.

Evidentemente si supponeva che gli utenti fiorentini conoscessero bene orari e percorsi, e sapessero quindi quali mezzi prendere, mentre per i turisti, numerosi anche allora ma non ancora arrivati in massa, si prevedevano taxi e carrozzelle:  erano ancora in servizio, tra l’altro,  dei magnifici landò verniciati di nero e blu, ed accanto alla colonna di Piazza Santa Trinita era quasi sempre possibile ammirarne uno o due in sosta.

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