Mondo Tram

Paolo .... i miei ricordi tranviari

Sono nato a Torino nel 1960, ho vissuto dapprima in piazza Vittorio Veneto e successivamente in via Giuseppe Verdi, proprio sotto la Mole Antonelliana, in pieno centro città. Per me quindi il tram è stato, da sempre, un elemento irrinunciabile del paesaggio, al quale ero talmente abituato da rifiutare l'idea che esistessero, in tutto il mondo civile, città prive di binari.

Nell'estate 1966, però, il destino aveva in serbo qualcosa per la mia famiglia: il trasloco in una zona periferica, dal nome ("Borgata Parella") che evocava in me quasi un villaggio sperduto stile Far West. Sembra incredibile, eppure nonostante fossi solo un bimbetto (magro come un chiodo) di 6 anni, conservo intatto nella memoria uno dei primi viaggi, sul tram "4", da via Po al capolinea di via Salbertrand. Già, perché allora, epoca di "traffico" per modo di dire, era pensabile che un tram avesse il capolinea in una via con un discreto (ripeto per quel periodo) volume di traffico senza bloccare mezzo quartiere. Alcuni anni dopo il capolinea fu spostato in via Crevacuore, traversa decisamente più tranquilla, dove rimase sino al 1982, anno della cosiddetta (a mio parere scellerata) rivoluzione della "Griglia del trasporto pubblico", voluta dall'allora assessore ai Trasporti Beppe Rolando (chissà che fine ha fatto).

Ma torniamo al tram. Oltre al sopracitato 4, in via Nicomede Bianchi, (via ad un centinaio di metri da casa mia) transitava il 22, che faceva capolinea in piazza Campanella (non vi dico la delusione quando scoprii che la piazza era dedicata ad un certo Tommaso Campanella e non semplicemente alle Campanelle che tintinnavano sugli alberi di Natale dei bambini!).

A proposito del 22 in partenza da quella piazza, ricordo un episodio divertente. Un bel mattino salii con mia madre sul tram fermo al capolinea, accanto al quale era situata una "piola" (nome torinese delle osterie) dove il tranviere ed il bigliettaio (meglio noto come "fattorino") sostavano, con grande piacere, durante le soste ai capilinea. Ad un certo punto il manovratore salì sulla vettura (dove noi bimbi fremevano impazienti) e la avviò: peccato che, appena attraversato corso Monte Grappa (due fermate dopo), inchiodò ed esplose in una sequela di bestemmie degne di un marinaio ubriaco. Dopo un po' ne capimmo il motivo, con una grande risata di noi bambini ed un mezzo ghigno (più discreto) degli adulti: il povero fattorino era stato dimenticato nella piola! Lo vedemmo arrivare di corsa, grassoccio signore ansimante di mezza età paonazzo in viso, con la borsa di cuoio dei biglietti che gli ballonzolava a tracolla. La cronaca dello scambio di battute tra i due non la ricordo, ma temo non fosse adatta ad orecchie sensibili. Beh, tutto sommato avevo ancora il tram vicino a casa, anche nello sperduto quartiere Parella!

Ancora adesso, a 43 anni suonati, quando sono nel letto in stato di dormiveglia, ascolto con piacere lo sferragliare del 13 (il 4 ed il 22 sono caduti sotto la falce dell'assessore di cui sopra) e cerco di indovinare se si tratti dell'ultima corsa notturna poco dopo l'una o della prima delle 4 e 50. Apro un occhio e dò un'occhiata all'orologio, nel primo caso mi riaddormento beato, nel secondo mi rintano ancora di più sotto le coperte pensando all'imminente suono della odiata sveglia. Poi c'erano gli odori. Quali, direte voi? Il mio odore tranviario preferito era quello "versione autunnale". Mi spiego. Torino è città ricca di viali alberati, in autunno le foglie cadono sul binario e lo rendono viscido, tanto che le frenate diventano problematiche, con nuvole di sabbia gettate sulle rotaie dalle sabbiere delle vetture. L'attrito riscaldava le foglie, f acendone scaturire un profumo particolare che mi piaceva tantissimo. Tuttora, nel mese di ottobre, quando transito in corso Tassoni sulle vetture del 13, istintivamente allargo le narici per percepire quel sottile profumo, tornando per un momento "coi calzoni corti".

Un'altra cosa che mi soggiogava magneticamente era la fune, accessibile dal finestrino in fondo alle vetture, che serviva al tranviere a riagganciare l'asta (altro rito che noi ragazzini seguivano con passione) quando nelle curve perdeva il contatto con la rete aerea. Ero convinto che toccarla quando il trolley era agganciato regolarmente significasse prendere la scossa… Non erano sufficienti varie assicurazioni, da parte dei miei (saccenti) compagni di classe, a convincermi che quella corda era di canapa e che quindi non era conduttrice di corrente: la toccai solo molti anni più tardi, sopravvivendo…

Inoltre ricordo, con un pizzico di sadismo, le scenette della porta posteriore. Mi spiego meglio. Nella mia città (non so nelle altre con servizio tranviario) si saliva, almeno ai tempi del bigliettaio, dalla porta anteriore e si scendeva da quella centrale, azionata dal fattorino e da quella posteriore, che era automatica. Per farla aprire, occorreva scendere il primo scalino, su una specie di pedana "a molla" che, avvertendo il peso del passeggero, provocava l'apertura della porta all'arresto della vettura. Il manovratore aveva sulla destra del posto guida un grosso interruttore tramite il quale, ad ogni fermata, sbloccava il meccanismo. Il fatto è che ogni tanto se lo dimenticava o, peggio ancora, le pedane erano un po' difettose, per cui non era infrequente assistere a gustose (per il Pierino che ero allora…) scenette con signore imbarazzatissime che suonavamo ripetutamente il campanello e saltellavano sulla pedana, cercando di far aprire la porta. Il massimo, per me, era quando il tram ripartiva senza che fossero riuscite a scendere!

Infine parlerò degli oggetti messi sui binari. Era un classico, quando tornavo da scuola, divertirsi ad utilizzare i tram come… presse, ponendo sulle rotaie gli oggetti più disparati per appiattirli. Chiodini che diventavano spadini, monetine da 5 lire che diventavano… monetone ed altri oggetti di natura varia. Naturalmente li ponevo sulla rotaia con aria indifferente, spingendoli con i piedi, per evitare che qualche burbero pensionato mi sgridasse, oltretutto vi era il rischio che i pneumatici delle auto li facessero rotolare via.

Una vitaccia, insomma.

Caro vecchio tram, strumento utile nonché compagno di giochi, grazie. Mi porti in giro, non inquini, duri molto di più degli autobus e sei più comodo e, senza dubbio, più simpaticamente umano.

Grazie di esistere.

Paolo